Adriano Attus e la sua mostra… infografica
di Mathia Pagani
ARTRIBUNE (original article, 30 maggio 2015)
Alla Galleria l'Affiche di Milano ha appena inaugurato la personale "Numerage: la verità nascosta" di Adriano Attus. Qui l’artista dialoga con il curatore Mathia Pagani. Mentre i testi di Gianni Riotta e Stefano Bartezzaghi, beh, sono come li vedete in pagina.
Parlaci di te, del tuo background e del tuo punto di vista.
Sono al Sole 24 Ore da sette anni, dopo aver lanciato il magazine Panorama Economy e aver lavorato cinque anni per Il Mondo, la storica rivista della Rizzoli. Da oltre quindici anni convivo con tabelle, grafici, istogrammi. Sono (siamo) circondati da numeri, glifi, righe, forze visive. In questi elementi vedo e rielaboro schemi e strutture.
I numeri sono uno strumento fondamentale per comprendere la realtà, ma non tutti hanno la capacità di orientarsi tra percentuali, medie e mediane. Titoli a effetto e grafiche elaborate non aiutano. Statistici, giornalisti e infografici dovrebbero usare semplicità, chiarezza e precisione, ma non sempre accade. I numeri sono spesso presentati fuori contesto.
Qual è stato lo switch che ti ha portato a scombinare i numeri per poterne raccontare la logica?
Anche se il nesso può sembrare opinabile, la mia percezione della realtà è cambiata dopo l’incontro con la tribù Himba della Namibia, dove il passato è visto davanti ai propri occhi e il futuro dietro le spalle, come ancora sconosciuto. In questo modo si ribalta la consueta logica a cui noi occidentali siamo abituati. Il precetto è semplice e consustanziale all’esistere: sulla base di quello che conosci affronti la realtà. In una civiltà del genere ognuno ha davanti a sé le proprie origini, mentre nella nostra il futuro è costruito sulla base di quello che qualcun altro vuole: la percezione della realtà è distorta. Questa rivelazione mi ha permesso di empatizzare maggiormente con l’altro da me, il destinatario del mio comunicare.
Inoltre mi sono reso conto che troppo spesso non ci si accorge di errori presenti in grafici e percentuali. Se un collega scrive “qual è” con l’apostrofo (errore di grammatica) i lettori inviano mail di disapprovazione, ma se un errore similare viene realizzato in un grafico questo non provoca quasi alcuna reazione. Ho cominciato a interrogarmi sul metodo migliore per comunicare i numeri.
Per semplificare: hai deciso di complicare la progressione e la lettura dei numeri per svelarne un arcano, facendone slittare il senso. Ne hai fatto derivare un ciclo di lavori, la prima serie che presenti in mostra, che sembra una vera e propria provocazione. Me ne parli?
In questo ciclo di lavori ho deciso di forzare molte regole di percezione visiva, all’interno del perimetro della psicologia della Gestalt. Ricompongo sequenze numeriche caotiche, attraverso la progressiva disposizione casuale di numeri con font e grandezze diverse ritagliati da giornali provenienti da tutto il mondo. Il risultato è gradevole, ma la presentazione è sovraccarica. Invito l’osservatore a contare da 1 a 100. Non voglio che guardi solamente l’opera, ma mi interessa che possa interagire con essa. L’operazione, che potrebbe richiedere pochi secondi in una progressione lineare, arriva in certi casi a richiedere decine di minuti.
Un collega ha impiegato 32 minuti a completare la sequenza, e quando ho presentato il progetto al Festival del Giornalismo di Spotorno, c’è chi ha sostenuto che mancasse un numero. Ed era il numero più grande di tutta la tavola. Per questo ho creato una piattaforma interattiva dove effettivamente ognuno può mettersi alla prova contando i numeri in una sequenza caotica e che in mostra abbiamo deciso di rendere fruibile attraverso l’utilizzo di tablet a disposizione del pubblico.
Hai deciso di fare qualcosa per rendere intelligibile l’inintelligibile. E lo hai fatto attraverso una forma d’arte. Domanda da cento milioni di dollari: cos’è l’arte per te?
È un veicolo, un’altra forma di comunicazione. Uno strumento per rielaborare concetti e riordinare il caos, per cercare di complicare ulteriormente una natura complessa, fissandone la matrice. L’arte è un modo per affidarsi alla ragione contro il falso, come ha bene evidenziato Gianni Riotta. Mi è servita per evidenziare contraddizioni e paradossi.
Parliamo ora della seconda serie, dove invece affronti il tema della ripetitività come mezzo forse inconsapevole per deviare la comprensione e distogliere l’attenzione dal vero. Puoi descrivere questo ciclo di lavori in tre parole?
Rigore, ripetizione, ordine.
Dove l’ordine non coincide sempre con la verità?
Esatto. Voglio comunicare la perdita del significato del messaggio, veicolato dai numeri, nel momento stesso in cui viene ripetuto meccanicamente dai media. La morte di 8.000 persone in Nepal, gli 80 euro di Renzi, il tasso di disoccupazione giovanile: sono numeri che generano un’assuefazione, senza comprensione.
E creano dipendenza…
Ci sono numeri piccoli e insignificanti che diventano inspiegabilmente immensi e carici di significato.
E viceversa numeri immensi, tragici, che vengono diluiti nella bulimia mediatica.
Esatto.
Parlami del terzo ciclo di lavori che presenti, dove il numero si fa figura e la figura narrazione.
Potrei dare come riferimento le tavole di Rorschach e le sue macchie d’inchiostro. Creo figure in bianco e nero, attraverso i numeri, dove ognuno può vedere quello che vuole.
Cos’è il bianco e nero per te?
È un’utopia. Una forma diversa di essere colore. Nelle scale di grigio vedo lo sporco del bianco della carta e la mancata inchiostrazione del nero di stampa. La forma più neutra di concepire il colore. Il bianco e nero mi permette di non offrire segnali cromatici qualitativi.
Non posso usare il rosso per il negativo, il verde per il positivo e il giallo per trasmettere un’idea di pericolo.
Quindi perché hai scelto il bianco e nero?
Per concentrarmi sulla forma. Perché la forma è funzione, informazione.
Che rapporto c’è per te fra forma e informazione?
Forma, funzione e informazione sono indissolubilmente connessi. Con le mie forme lascio spazio di interpretazione all’osservatore. In quel margine di libertà interpretativa riconosco il senso stesso del creare.
Quali sono i tuoi padri ispiratori, i tuoi progenitori ideali?
Giovanni Pintori anzitutto. Munari, Soldati, Nigro e il Movimento d’Arte Concreta; il Lettrismo e l’ipergrafia di Isidore Isou e la sperimentazione Fluxus. La ricerca verbo-visiva ligure attraverso il pensiero di Corrado d’Ottavi.
Parlami dell’importanza dell’aspetto ludico nel tuo lavoro e dei laboratori previsti in mostra (per bambini e non).
Anche il gioco alle volte è tremendamente serio. Cerco sempre di ricordare che dietro ogni numero ci sono storie e persone. La statistica andrebbe insegnata ai bambini, perché possano giocarci e giocandoci comprenderla. Per questo i laboratori previsti sono pensati per avvicinare i bambini di ogni età all’atto creativo, che è principalmente atto di comprensione, attraverso i numeri, normalmente associati a discipline noiose.
Non dimentichiamo che i numeri sono un’invenzione per misurare il tempo, che è una variabile poetica della vita. Inoltre il numero, considerato per definizione statico, attraverso i laboratori prenderà vita e ritmo.
Non corri così il rischio di dare al numero una valenza troppo soggettiva?
Non è la sola. Il numero riflette l’intenzione con cui lo si usa. Ad esempio in Rating 24, l’appuntamento che il Sole 24 Ore dedica al monitoraggio dell’attività del governo, voluto fortemente dal direttore Roberto Napoletano, i numeri sono usati come contrappunto attendibile, veritiero, oggettivo per certificare l’attuazione dei singoli decreti di governo.
La Galleria l’Affiche ti ha scelto. Tu l’hai scelta a tua volta: perché?
L’Affiche è una galleria storica, che ha sempre dato grande attenzione ai mostri sacri ma anche alle nuove, più innovative, proposte artistiche. È un onore per me farne parte.
I prossimi appuntamenti?
Numerage: la verità nascosta è solo la prima di una serie di esposizioni flash, volutamente rapide e destibilizzanti. In occasione della mostra lancerò un appello che coinvolgerà cento artisti. L’arte, nella sua forma più pura, è un enzima, un catalizzatore. E credere nei numeri è un atto di fede. La prossima mostra sarà filosofica e religiosa. All’incontro reale in galleria seguirà una fase virtuale a cui poi farà seguito un’altra incursione concreta. Ancora top secret. Vogliamo replicare l’andamento ciclico dei numeri anche nell’arte.