Riuscite a contare fino al 100?
di Simona Morini
DOMENICALE, Il Sole 24 Ore (21 giugno 2015)
Il progetto Numerage, dichiara il suo autore, è una provocazione. Sul suo sito, Adriano Attus vi invita a contare fino a 100 seguendo una colorata folla di numeri di diverso carattere e dimensione, ritagliati dai giornali e disposti in vivaci collages che sfidano non poche regole della percezione visiva. È un bel modo di far riflettere su quel che i numeri svelano o nascondono. Io ci ho impiegato quattro minuti a contare fino a 18 e poi, ovviamente, ho lasciato perdere. Se poi provate a immaginarli a occhi chiusi, i primi cento numeri, come invitava a fare Francis Galton, pioniere della statistica, scoprirete se appartenete al 50% che li immagina allineati lungo una retta orizzontale o all’altra metà di persone che se li figura disposti a scala, in figure geometriche, a nastro attorcigliato, in bianco e nero o a colori vivaci, su sfondo chiaro o scuro, luminoso o opaco. Anche al di là delle questioni percettive, i numeri appaiono ad alcuni affascinanti ad altri incolori. C’era un tempo molto lontano (nell’antica Persia, per esempio, o nelle corti rinascimentali) in cui gli uomini seducevano le loro amanti ponendo loro complicati problemi matematici. Oggi, nella fantasia dei più, i numeri appaiono «aridi e freddi». Con l’avvento della statistica nell’Ottocento, infatti, hanno cominciato ad essere associati con i «fatti». Da Carl Pearson, che amava tagliar corto nelle discussioni astratte con un «statistics on the table, please» (versione pragmatica del leibniziano «calculemus») fino all’attuale abitudine di corredare buona parte delle informazioni nella stampa con la loro «evidenza» numerica, i «dati» sono diventati la nostra principale chiave di lettura del mondo. Da infografico e giornalista, Attus è tuttavia consapevole del fatto che trasporre i numeri in diagrammi e immagini non equivale a «fotografare», ma a «dipingere» la realtà, cioè a interpretarla. Come osservava Otto Neurath già nel secolo scorso, «tramutare la scienza in immagini è spesso un compito difficile e non è affare né dello scienziato né del grafico», ma di una «terza competenza» che, con Giovanni Anceschi, potremmo chiamare «il trasformatore» (infografico e giornalista, appunto). Ecco allora che le «provocazioni» di Attus riportano l’attenzione sul legame tra scienza e arte, sulla capacità dei numeri, nelle mani dei «trasformatori», di svelare la realtà o di occultarla, di dire la verità o di mentire. Meglio ancora: di mentire dicendo la verità. I numeri tornano a stupirci, insomma, o forse a inquietarci.